Home > Approfondimenti > Jobs Act: la riforma delle mansioni (art. 2103 cc)
L’entrata in vigore del decreto legislativo 81/2015 (pubblicato il 24 giugno 2015 ed in vigore dal giorno successivo) ha apportato numerose modifiche alla normativa del lavoro ed alle forme contrattuali. Un vera e propria “rivoluzione” è avvenuta nella disciplina delle mansioni e nella riformulazione del 2103 c.c. L’art. 3 del sopracitato decreto infatti sostituisce la storica dicitura secondo la quale il lavoratore doveva essere adibito alle mansioni per le quali era stato assunto o a mansioni corrispondenti alla categoria superiore acquisita oppure a mansioni “equivalenti alle ultime effettivamente svolte”. Il concetto di equivalenza delle mansioni (in particolare dei riferimenti per individuarla e delle problematiche relative alle capacità professionali del lavoratore) ha comportato negli anni il proliferare di un infinito contenzioso e di una vasta gamma di interpretazioni da parte di dottrina e giurisprudenza. Merito di questa riforma sarà sicuramente il porre un freno a tali incertezze. Questo avviene essenzialmente in un modo, spostando il riferimento della norma da un riferimento soggettivo, come l’equivalenza della mansione connessa al patrimonio professionale del lavoratore, ad un riferimento oggettivo, il livello contrattuale e la categoria legale (categoria legale che resta un concetto vecchio e superato). Pertanto il lavoratore potrà essere assegnato a mansioni differenti purché dello stesso livello contrattuale e della stessa categoria legale di appartenenza. Ovviamente, e vale per tutti i casi di ius variandi, la comunicazione deve avvenire sempre in forma scritta a pena nullità.
Il decreto inoltre elenca due ipotesi di demansionamento. La prima prevede che in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali, che incidano sulla posizione del lavoratore, egli possa essere assegnato unilateralmente anche a mansioni inferiori (un livello al di sotto e stessa categoria legale), mantenendo ovviamente la stessa retribuzione del livello precedente, ad eccezione degli elementi retributivi connessi alla mansione precedentemente svolta (ad esempio indennità di cassa). Presupposto fondamentale all’esercizio del potere di modificare unilateralmente la mansione del lavoratore è non solo una semplice riorganizzazione aziendale, ma occorre che essa sia tale da incidere direttamente sulla posizione del lavoratore. In mancanza di tale giustificativo non è possibile modificare in peius le mansioni del lavoratore. I contratti collettivi (anche aziendali) potranno inoltre prevedere altre ipotesi di di mutamento di mansioni con inquadramento inferiore e stessa categoria legale, in aggiunta ai casi tipizzati dalla legge.
L’altra ipotesi prevede la possibilità di modificare le mansioni, la categoria legale, il livello e la retribuzione con accordi in sede protetta (sedi di cui all’art. 2113 c.c.). Tali modifiche devono avere come finalità la conservazione dell’occupazione, l’acquisizione di una diversa professionalità o il miglioramento delle condizioni di vita del lavoratore. In queste ipotesi è consentito ridurre sia il livello di inquadramento sia la retribuzione del lavoratore. Una importante considerazione, il decreto prevede che in queste casistiche il lavoratore “può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro”. La presenza della categoria nel testo normativo riconosce e certifica il ruolo di garante di legalità e la terzietà del consulente del lavoro.
Altra variazione riguarda lo svolgimento di mansioni superiori. L’assegnazione (che non sia per sostituzione) diviene definitiva dopo 6 mesi (invece di 3), o dopo un diverso periodo previsto dalla contrattazione collettiva. In tal caso il lavoratore, salvo diversa volontà, ha diritto al trattamento economico connesso alla mansione svolta ed alla assegnazione definitiva.
Ad eccezione delle casistiche di ius variandi elencate dal decreto, ogni patto contrario è nullo ed il lavoratore potrà ottenere le differenze retributive, l’eventuale risarcimento del danno ed il ritorno alle proprie mansioni.
Articolo tratto dal n° 04/2015 del bimestrale del Centro Studi ANCL SU Campania “on. V. Mancini”. La rivista può essere consultata qui .
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